A un certo punto della storia, Marco si dichiarò “Stufo”; di come stava andando la sua storia, della sofferenza che gli stava provocando, delle castrazioni che stava subendo, e degli assurdi ruoli che si era, egli stesso, assegnato.
Era stanco di essere mille uomini e mai se stesso; partecipava ad ogni azione corale della sua tragedia greca, sempre rivestendo ruoli di secondo piano, a ciò che lui era realmente, intendo dire, e non riusciva a procedere nell’intreccio, non determinava la svolta, non riusciva mai a prendere possesso del suo desiderio di “portarsela” a letto.
Era sempre affannato, teso, castrato, quando si trattava di salpare il suo veliero, di spalancare le ali della sua passione e penetrare il suo regno; così, spesso, si perdeva in spire indistricabili per erigere muri, che aprivano il suo sguardo alla paura, alla frustrazione, alla rassegnazione.
Quando la sua amante virtuale cercava di abbattere quel muro di nodi che li teneva distanti, i suoi vari personaggi le costruivano innumerevoli labirinti attorno, per renderle difficile l’uscita.
Ma non era giusto infliggerle tanta ingiusta sofferenza, perché, prima o poi, avrebbe sentenziato la fine di tutto ciò che era davvero, della sua essenza, e dell’amore che provava per la sua sposa.
Doveva pur esserci un modo per permetterle di oltrepassare quel muro, senza farla dissolvere dall’altra parte, nella vita reale.
Così immaginò una romantica soluzione a questo dilemma, che lo stava ammazzando non poco, e decise di scavalcare quel muro egli stesso, con un grande salto, lasciando alle sue spalle tutti gli altri personaggi del racconto e la gente cattiva che lo avrebbe condotto alla gogna…
Andò a salvare la sua bella, dal mostro della disillusione che la stava divorando, penetrando con vigore l’utero che la faceva fremere da troppi anni; senza parlare, senza fermarsi, abbandonando la sua indolenza, e con una spietata alacrità…
Così, entrambi, raggiunsero l’apice del piacere, all’unisono, dolenti, ma felici.
C’erano voluti davvero troppi anni, perché Marco prendesse questa decisione, ma all’incontro con la sua amata, si accorse che tutti i suoi timori, tutti i personaggi che aveva interpretato in precedenza, erano solo egregore di una società deviata e invidiosa che aveva reso l’amare tanto e tanti un crimine;
una società che aveva messo dei paraocchi neri davanti agli occhi dei falchi, rinchiudendoli in una gabbia, per costringerli ad un unico ripetitivo volo e soddisfare la sua antica bramosia e meschina malvagità.
Oggi ci sono tante storie, troppe, che raccontano la favola di Marco e la sua bella, ma l’unica che corrisponde al vero, ancora non è stata scritta; perché ancora non ho trovato il coraggio di interpretarne l’epilogo…
Forse mi sono immaginato tutto, o quasi tutto. Forse gli altri personaggi non esistono affatto, o forse sto cercando solo una scusa per non assumermi la responsabilità di questa vicenda…
Oppure, non posso raccontarvi come andò a finire, perché non andò a finire mai.
“Gli uomini hanno reso l’amare tanto e tanti un crimine”, disse Marco, e fu con questa frase che fece il grande salto, questo posso comprovarlo. Fu con questa frase che abbracciò la sua controparte…
Però ancora non se n’è reso conto. Forse ne prenderà coscienza solo quando leggerà il mio racconto…
e, probabilmente, sarà lui a raccontarvi cosa è realmente accaduto… o cosa sta per accadere.