La Rabbia del Perché

Le onde uscirono dall’oceano e si fecero largo a tentoni fra gli scogli e lentamente si fermarono, barcollando sotto la luce del faro che fece loro strada oltre gli scogli, dove si aprì una distesa palustre inframmezzata da aree ricoperte di carici e schiuma, fino alla spiaggia. Una spiaggia simile a quella dove poco prima avevano espirato il vento, solo che il vento stavolta non c’era. Stavolta sembrava che il vento non respirasse più…

E l’oceano morì.

Tutto intorno era silenzio, appena segnato da un timido canto di civette, reso ancora più lugubre dal pallore della luna, che si nascose dietro le nuvole per il disonore, del quale in un modo o nell’altro voleva liberarsi…

Le nuvole si commossero e piansero sul mare per ore, tanto che il cielo si adirò e urlò un vento che percosse la palude: si formarono trombe d’aria che rianimarono l’acqua stagnata e la riportarono bruscamente al mare…

L’oceano riprese a danzare dall’orizzonte alla spiaggia e la luna tornò a brillare fino all’alba.

Fu una grande festa.

Le onde acquattate una vicino all’altra sembravano tutt’uno con l’Oceano, immenso , burrascoso, ma tanto gentile e gaio.

Perché le onde erano fuggite via dall’acqua? Perché chiunque fa un po’ come gli pare senza valutare le conseguenze delle proprie azioni, spesso, sconsiderate?

Forse perché l’abitudine stanca, anche se è una bella abitudine, anche se il posto dove devi stare è quello lì, ed è il motivo per cui sei stato creato; ma in fondo, sai che devi ripartire, tornare nel luogo in cui sei destinato a vivere e che c’è sempre un motivo a tutto.

Perciò, non farmi arrabbiare!

L’orologio

C’era un grande orologio, nella vecchia casa nel bosco. Era a pendolo: incassato in un pregiato legno di noce, istoriato da generazioni di poeti maledetti che, alle prese con muse procaci, spesso, facevano soste frequenti, per incidervi sopra desideri irresistibili e ardenti che avevano il pudore di rendere pubblici.

Nel buio perenne del piccolo studio, una fioca lampada illuminava gli inusuali ornamenti e poco d’altro, e appena fuori dal suo raggio, nella penombra, si distingueva a fatica il volto di un uomo, seduto stanco sulla sua poltrona.

Uno scrittore maledetto, a detta della gente, sbalestrato, quindi snobbato da quasi tutti gli abitanti del villaggio, perché da tempo aveva smesso di scrivere per il giornale locale e si era dedicato , anch’egli, come i poeti, a incidere i suoi desideri sull’orologio a pendolo, ormai fermo.

Si era bloccato il 21 dicembre del 2015 e non c’era stato verso di ricaricarlo: l’ora che annunciava era sempre la stessa.

Nero, così si chiamava lo scrittore, aveva formulato varie teorie per farlo ripartire, ma al tentativo di rimetterlo in movimento, opponeva una strana resistenza, per il timore che le funzioni cronologiche dell’orologio, avrebbero condannato a morte la sua musa.

Ma uno di quei giorni che gonfiano la vita con la loro esuberanza, che rindondano di innumerevoli speranze, lo scrittore si armò di coraggio e decise di svelare il suo mistero;

Fu uno di quegli inizi che non appartengono a nessuna storia già scritta, perché nessuno prima di Nero l’aveva mai vissuta.

Lo scrittore sosteneva che l’orologio era rimasto affascinato dal mistero, per cui non aveva permesso al pendolo di oscillare; anzi, aveva preferito crogiolarsi dentro, tanto era il piacere che dava l’esito del suo possibile incontro con la sua musa.

La Musa volgeva questa spiegazione in un rimprovero: Nero aveva paura dell’amore, perché non l’aveva mai conosciuto davvero e se avesse cambiato la trama al suo racconto, l’avrebbe persa, per cui inventava mille giustificazioni alla sua inerzia.

Ma lo sbalestrato scrittore, quel nuovo 21 dicembre 2015, colpì l’orologio con la sua penna e il pendolo ripartì: usci da quella stanza e corse ad abbracciare la sua Musa, che da anni, era rimasta ad aspettarlo nel giardino della casa nel bosco, dentro il suo cespuglio di rose.

Il tempo si fermò, commosso dai loro baci, ma l’orologio continuò ad ascillare per accompagnare con una musica melodiosa Nero e La Rosa, nel loro incanto.

Il 21 dicembre di quell’anno era stato un giorno magico, come solo accade nelle favole, e l’orologio non poteva permettere che il tempo lo portasse via con sé; questo era il motivo per cui si era fermato.

C’è chi narra che questa storia sia pura fantasia, ma io posso testimoniare che non è così, perché sono io Il Tempo che si era fermato…

… e vi giuro che sono fermo ancora al momento dell’incontro dei due amanti; perché non voglio consumare quella meravigliosa favola d’amore. Non voglio consumare il loro amore.

Il Diamante

Un giorno Gil, passeggiando in bicicletta per le strade della sua città, trovò sul marciapiede, un diamante. Una grande fortuna, una di quelle sorprese, che di certo non puoi trovare dal vetraio, non di quelli grossi, ma brillante e iridescente.

Gil, passeggiava sempre da solo in bici, perché era un tipo molto solitario e a tratti burbero. Era molto magro, capelli color argento, il volto molto tirato e gli occhi tristi, di quelli che se li osservi bene sono sempre bagnati di lacrime. Eh, si, Gil aveva davvero il volto smagrito e gli occhi tristi, ma era elegante e slanciato, solo che per gli stronzi era un uomo asociale, folle e irriverente.

Quando entrava in un bar, però, si faceva notare; ordinava educatamente il suo caffè americano e, se non glielo servivano in fretta, mandava a cacare il barista e andava via bestemmiando.

Gil, era un tipo molto particolare, ma non glie ne fregava un cazzo di piacere agli altri. Anzi, ne era pure lusingato, perché gli altri erano soltanto dei polli, diceva.

Tuttavia gli piaceva non passare inosservato ed aveva una particolare cura per le sue mani, che amava decorare con tanti anelli, proprio come le femmine, ma non era frocio, anzi!

Un giorno, però, si accorse che al suo anello preferito, mancava la pietruzza e fu proprio questo, il motivo del suo isolamento; perché un anello senza pietruzza, non poteva riflettere la sua luce, e senza luce, lui poteva essere solo buio.

Ma quel giorno, la fortuna era dalla sua parte, perché aveva trovato la pietruzza per il suo anello.

Le Donne

Una volta le donne non c’erano. C’erano gli uomini che le immaginavano, soprattutto di notte, ma anche di giorno, quasi tutti i giorni: gli uomini con 3 gambe. Ma c’erano anche quelli con due gambe, ma questi le donne non se le sognavano affatto.

Così, invece delle donne, c’era una strana malattia che prendeva gli uomini con tre gambe e gli faceva venire le traveggole, e vedere, magari un montone e scambiarlo per una donna.

Era una malattia molto contagiosa e incurabile, ma non accorciava la vita, anche se rendeva gli uomini simili alle pecore.

Gli uomini con due gambe, invece vedevano tutte le notti la donna che non c’era: ma non la scambiavano per nessun animale, quindi non se la inculavano.

Un giorno saltò fuori, però, un’altra grave malattia che, questa volta prendeva gli uomini con due gambe: cominciava un formicolio all’ano, poi venivano tante bolle rosse intorno e dopo una settimana si finiva al cimitero.

Anche questa malattia era incurabile, e si diffondeva molto in fretta.

Dopo un po’ gli uomini con 2 gambe sparirono e quelli con 3 dovettero imparare a fare da soli.

E’ passato tanto tempo da allora e di donne ce ne sono davvero tante in giro, ma gli uomini con 3 gambe continuano a non vederle.

Non c’era

Non c’era, nessun Billy; e questo dispiaceva alla sua famiglia. Specialmente a Billy che era molto incazzato. E mostrava segni di rabbia, eccome!

Urlava, prendeva a pugni le porte, sfasciava gli oggetti e talvolta ne lanciava qualcuno, soprattutto dietro alle donne, quando gli facevano scenate di gelosia o gli dicevano che era pazzo.

Quindi bastava guardarsi intorno per vedere i segni della sua presenza: i vetri della finestra rotti, pentole e coltelli dappertutto, cocci di bicchieri sul pavimento, che la sera prima aveva usato per scolarsi l’ennesima bottiglia di Barolo, o la chitarra che era rimasta scordata da quando si era accanito a suonare con veemenza “Bad Horsie” di Steve Vai.

Con tante prove delle mie azioni, si chiedeva Billy, com’ è possibile che non ci sia?

Il suo cruccio, con questa domanda, è che poteva farla solo a se stesso. Cioè: non è che non si potesse farla anche agli altri, ma gli avrebbero risposto di vedere “uno bravo”, e magari impulsivamente gli avrebbe sferrato un cazzotto dritto sul naso, rompendogli il setto nasale.

Tutti si sarebbero dispiaciuti, ma l’avrebbero deriso e umiliato: chiunque lo avrebbe considerato solo uno psicopatico e si sarebbe messo a ridere, come un idiota , a quel punto ad alto rischio dello sganassone.

Perché la sua famiglia era seriamente convinta che lui ci fosse e che la sua presenza era addirittura così fastidiosa che lo avrebbero ricoverato in un manicomio e anche con urgenza, se avesse ammesso di stare male, per levarselo di torno.

Quindi la domanda, Billy, poteva farla solo a se stesso. Perché era evidente che era lì , infatti era pieno di ferite ancora aperte; ma Billy non le vedeva, anche se ne percepiva il dolore.

Ogni tanto cercava di raccontare la sua storia al barista di turno, quella storia che ti fa sentire a casa, perché, magari, fuori fa caldo e hai freddo dentro e quelle tenerezze che non hai mai ricevuto da bambino da tua madre, le botte di tuo padre, tua sorella che si faceva di eroina, morta per overdose…

Insomma, quelle tragedie famigliari e crimini che gli altri avevano dimenticato di aver commesso contro di lui; ma era come se avesse parlato di di qualcun altro, dopo, anche se aveva chiari segni del suo passato sulla sua pelle.

Non vi svelerò il vero nome di Billy e nemmeno come sta adesso e dove vive. Potrebbe essere una storia senza morale per voi, una storia senza senso, ma non importa; perché quello che voglio dirvi è che Billy cercò, per tanto tempo, di autoinfliggersi segni sul corpo e nella mente per ricordarsi di esserci.

Stefano ora “E'”

C’era una volta. Poi è cambiata la storia. Anzi, la storia è finita. Il bimbo Stefano ha deciso di cambiare registro.

Capitava spesso che si andasse fuori a cena e si scolassero litri di birra e rum, quel rum invecchiato e coca che frizzava nelle narici; e si faceva un piccolo festino in un privé, e tutti erano allegri, anche se i neuroni passeggiavano impazziti nei piattini riscaldati e si crollava puntualmente come pere cotte (Stefano mai) sul pavimento della pista da ballo della discoteca.

Volava anche qualche insulto, e ogni benedetta sera, le donne finivano a prendersi a capelli, sempre a causa di quella puttana paranoica invidiosa e sporcacciona della Lory che stava sempre fatta come una scimmia.

E quando si raccoglievano le ultime briciole di bianca con la sigaretta, c’era sempre qualcuno che diceva “E’ proprio buona sta roba”. E il bimbo Stefano non era contento; perché la bamba era sempre la stessa merda che lo faceva smascellare 3 giorni di fila…

Ma per tutti era stata una “cazzo di bella bamba”…

Te credo, quelli si sarebbero pippati persino la tufina, per come stavano messi!

Lui no. Lui era stato un buon intenditore, ma adesso ha smesso e non beve nemmeno più.

“Sono stato, ho fatto, ho avuto”, ora gli danno una sensazione di morte imponente, come quelle tombe nei cimiteri monumentali e tutti portano dei fiori ai loro miti, soprattutto scrittori e poeti stroncati da cocktail di veleni chimici.

E al bimbo Stefano questo fa incazzare: preferisce morire schiantato alla velocità di 355 km/ h con la sua Veneno Roadster, ma a 100anni con i soldi che gli escono dal culo.

Così il bimbo Stefano ha scatenato una lotta contro il suo passato e vuole che si parli soltanto del suo presente. O al massimo del suo futuro di scrittore Nobel.

Come tutte le guerre, anche quella di Stefano è sanguinaria; e infatti se dovesse dirvi cosa ha fatto per migliorare la sua vita, gli darebbero 30 ergastoli in cella di isolamento con la museruola di Hannibal Lecter.

Ma per lui è una questione di principio fare fuori chi gli intralcia l’esistenza…

Se dunque vi dovesse venire in mente di rompergli il cazzo per qualsiasi ragione, rinfacciandogli chi era stato, cosa aveva avuto e cosa aveva fatto, pensateci 2 volte, perché vi prenderebbe a calci in faccia come un cavallo imbizzarrito.

Perché Stefano ora “E'”.

Amori interrotti

Una volta Riccardo non finiva mai un rapporto d’amore. Si trovava bene lì dentro, tra viaggi interstellari e sesso pirata, amori burrascosi e scommesse con gli amici.

Ci voleva molto tempo per acquisire complicità con la donna che si portava a letto;

all’inizio era come un uccello impazzito, la lingua della sua partner risultava aliena per il suo pisello;

presto, però Riccardo si adattava e si sentiva bene in quell’umido anfratto, o provava un intenso piacere, nell’immergersi in tante vagine, nell’accompagnarsi a tante nobili e dolci sgualdrine; e non voleva più lasciarle andare via, non voleva abbandonare quel nido di pelle, morbido, accogliente, per un banalissimo orgasmo che avrebbe interrotto quell’avventura.

Raggiungere l’apice del piacere per lui, significava seppellire l’opportunità di godere per sempre.

Certo, c’erano altre donne disponibili; ma perché perdere quella, visto che si era trovato bene, anzi si era affezionato al suo odore?

Per questo motivo Riccardo aveva cominciato decine di relazioni con donne diverse, ma non aveva mai raggiunto il culmine della libido nemmeno con la metà di esse.

Le corteggiava ogni giorno donandogli dozzine di rose rosse, poesie e si calava nel loro peculiare umore femminile…

Le baciava dolcemente e le penetrava lentamente, molto lentamente, fino a farle giungere ad un orgasmo quasi delirante e struggente, ma senza arrivare anch’egli.

Non poteva, perché se arrivava, si appressava la fine della storia con la compagna del momento; quindi tirava fuori il suo membro e se lo rimetteva nei pantaloni, come ad autocastrarsi e ripeteva lo stesso comportamento con tutte.

Succedeva così una volta; ora Riccardo è cambiato.

Perché dopo anni di amori interrotti sul più bello, si era reso conto di una semplice verità: Le donne non finiscono mai. Finiscono le storie, così come finiscono i libri quando termini di leggerli…

Ma quando si è imparato a conoscere profondamente la propria compagna, possiamo continuare ad amarla, a raccontarla. E cominciare un altro amplesso sempre con la stessa persona o con altre 100, oppure recitando di essere un’altra persona noi stessi con tutte, diventando sempre i protagonisti delle nostre storie.

Da quando Riccardo ha compreso questa semplice verità, fa l’opposto di quello che faceva prima: scopa una femmina in gran fretta, per vedere in quanto tempo viene, e dopo si reimmerge lentamente in fondo a quella vicenda sessuale, stringendo più calorosamente quel corpo febbricitante e continua la sua vicenda amorosa…

Come un lettore che ha terminato di leggere un bel racconto e continua a scriverlo per conto suo.

Ora la sua vita è piena di slanci e amori infiniti.

Tenersi ben strette le pistole

Non tutti hanno a cuore le proprie opinioni allo stesso modo. Alcuni, sono disposti ad accettare di modificarle senza farsi problemi, mentre altri, sono irremovibili.

Quando vi aggrappate alle vostre idee e non avete la minima intenzione di cambiarle, posso dirvi che vi “tenete strette le vostre pistole”.

Ma è giusto o sbagliato?

Dipende da “modi tempi e luoghi” in cui si decide di ” sparare”.

E’ noto, che il militare giapponese Hiroo Onoda, dopo quasi 30 anni dalla fine della seconda guerra mondiale (1974), nella giungla dell’isola filippina di Lubang, venne arrestato, perché credeva che il conflitto non fosse terminato, rifiutando di arrendersi.

Quindi si tenne “ben strette le sue pistole”, continuando una guerra che in realtà era già finita.

Folle , vero? Ma non è una cosa che accade di rado combattere dove non c’è più bisogno.

Nel corso della mia vita, anch’io ho commesso questo errore, ma poi mi sono resa conto che il mio conflitto era interiore.

Che non c’erano più nemici da affrontare.

Non c’erano più ostacoli da abbattere, perché avevo già vinto la mia battaglia quando decisi di andare in trincea.

Avevo vinto, quando ho deciso di vincere, quindi, ma mi rifiutavo di crederlo, perché ero nata con la guerra in testa e la pace mi faceva paura…

Ero un’emerita polla.

Poi ho affrontato i miei nemici interiori che mi dicevano: “Devi difenderti. Devi attaccare. Devi distruggere. La pace è un’arresa, meglio morire”, mandandoli, letteralmente, al diavolo!

Avevo il terrore, in realtà, di ricostruire dalle macerie, la mia vita…

praticamente, avevo paura di rimettermi in gioco, anche se avevo ogni mezzo a mia disposizione, per farlo.

E’ ovvio che io non vi stia invitando a cambiare le vostre idee completamente o ad essere volubili in merito alle vostre decisioni…

… ma a valutare, che nel corso della vostra esistenza è naturale affrontare un cambiamento, ed è necessario per la vostra sopravvivenza.

Solo i polli, non cambiano opinione.

Solo gli ottusi.

Solo i saccenti, gli ipocriti e gli inetti.

Cambiando idea non si diventa tonti e perdenti, anzi: è sinonimo di intelligenza, di adattamento, di forza, di spirito combattivo.

Non si combatte per distruggere, ma per costruire.

Chi sa affrontare il cambiamento, vince ad ogni costo. Vive ad ogni costo. E’ realizzato, ad ogni costo…

Quindi, paradossalmente, tiene veramente ben salde le sue pistole.

Siete “Andate a banane”

Chiunque abbia visto un documentario sulle scimmie ha sicuramente notato con quanta intensità esprimano le proprie emozioni: spalancano gli occhi, saltellano, ruzzolano, si grattano la testa…

Vi ricordano qualcuno?

A me ricordano “certe” femminucce che, alla vista delle “banane”, ” diventano come le scimmie”, ossia si arrabbiano, si agitano molto e si fanno i dispettucci quando se le contendono.

Poiché esse ne sono le più entusiastiche consumatrici e senza marchio di garanzia.

Io no. Io impazzisco solo per la carne di Tiranno DOC…

Troppo tenera é la frutta per le mie zanne e troppo fine è il mio palato per consumare alimenti di dubbia provenienza…

Roarrrrrrrrrrrrrrrr…

Gli eroi devono marcire in carcere

In una recente udienza per l’estradizione di Julian Assange, uno psichiatra ha testimoniato che il fondatore di Wikileaks, soffre di forti allucinazioni ed è ad alto rischio di suicidio.

Il professor Michael Kopelman, professore emerito di neuropsichiatria al King’s College di Londra, afferma che Assange ha confessato a un prete che soffre di allucinazioni uditive e che stava programmando il suicidio.

Pare che si stesse occupando della stesura del suo testamento e della scrittura di una lettera di addio alla sua famiglia e ai suoi amici.

Secondo il professor Kopelman , Julian, sarebbe in gravi condizioni di salute fisica e mentale:

“Ha riferito di sentire delle voci dentro e fuori della sua testa, allucinazioni somatiche, esperienze extra corporee, ma ora sono scomparse. Ha anche una lunga storia di allucinazioni musicali che è peggiorata quando era in prigione “, ha detto Kopelman.

Le voci gli ripetevano continuamente “sei polvere, sei morto, stiamo venendo a prenderti”.

Kopelman asserisce che nonostante il quadro clinico di Assange stia migliorando, è ancora gravemente depresso e ad alto rischio di suicidio.

“Se Assange fosse estradato, il rischio di suicidio aumenterebbe ulteriormente, a mio parere”, ha testimoniato in tribunale.

Kopelman è stato interrogato da James Lewis QC, che ha accusato Assange di aver inventato la sua malattia mentale per evitare l’estradizione.

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