Lo Storyteller immortale.

Sono immortale. Ve lo confesso. Posso morire solo se scelgo di farlo, basta che beva l’acqua che sgorga dalle sue labbra Maligne, ma posso anche non morire, perché lei possiede l’antidoto contro il suo stesso veleno.

Sono cresciuto ingoiando sangue e lacrime, e cibandomi di carogne sono sopravvissuto. Ma ora sono triste, almeno un po’, perché la gente che amo sta morendo, ed io non posso rimanere solo al mondo.

A chi racconterò le mie storie, se gli uomini si estingueranno?

Non ho altra scelta: mi recherò alla sorgente e ingraviderò quella puttana, che partorirà altre puttane come lei , che incastreranno altri immortali come me…

E li costringeranno a vivere per sempre.

Tante altre storie

A un certo punto della storia, Marco si dichiarò “Stufo”; di come stava andando la sua storia, della sofferenza che gli stava provocando, delle castrazioni che stava subendo, e degli assurdi ruoli che si era, egli stesso, assegnato.

Era stanco di essere mille uomini e mai se stesso; partecipava ad ogni azione corale della sua tragedia greca, sempre rivestendo ruoli di secondo piano, a ciò che lui era realmente, intendo dire, e non riusciva a procedere nell’intreccio, non determinava la svolta, non riusciva mai a prendere possesso del suo desiderio di “portarsela” a letto.

Era sempre affannato, teso, castrato, quando si trattava di salpare il suo veliero, di spalancare le ali della sua passione e penetrare il suo regno; così, spesso, si perdeva in spire indistricabili per erigere muri, che aprivano il suo sguardo alla paura, alla frustrazione, alla rassegnazione.

Quando la sua amante virtuale cercava di abbattere quel muro di nodi che li teneva distanti, i suoi vari personaggi le costruivano innumerevoli labirinti attorno, per renderle difficile l’uscita.

Ma non era giusto infliggerle tanta ingiusta sofferenza, perché, prima o poi, avrebbe sentenziato la fine di tutto ciò che era davvero, della sua essenza, e dell’amore che provava per la sua sposa.

Doveva pur esserci un modo per permetterle di oltrepassare quel muro, senza farla dissolvere dall’altra parte, nella vita reale.

Così immaginò una romantica soluzione a questo dilemma, che lo stava ammazzando non poco, e decise di scavalcare quel muro egli stesso, con un grande salto, lasciando alle sue spalle tutti gli altri personaggi del racconto e la gente cattiva che lo avrebbe condotto alla gogna…

Andò a salvare la sua bella, dal mostro della disillusione che la stava divorando, penetrando con vigore l’utero che la faceva fremere da troppi anni; senza parlare, senza fermarsi, abbandonando la sua indolenza, e con una spietata alacrità…

Così, entrambi, raggiunsero l’apice del piacere, all’unisono, dolenti, ma felici.

C’erano voluti davvero troppi anni, perché Marco prendesse questa decisione, ma all’incontro con la sua amata, si accorse che tutti i suoi timori, tutti i personaggi che aveva interpretato in precedenza, erano solo egregore di una società deviata e invidiosa che aveva reso l’amare tanto e tanti un crimine;

una società che aveva messo dei paraocchi neri davanti agli occhi dei falchi, rinchiudendoli in una gabbia, per costringerli ad un unico ripetitivo volo e soddisfare la sua antica bramosia e meschina malvagità.

Oggi ci sono tante storie, troppe, che raccontano la favola di Marco e la sua bella, ma l’unica che corrisponde al vero, ancora non è stata scritta; perché ancora non ho trovato il coraggio di interpretarne l’epilogo…

Forse mi sono immaginato tutto, o quasi tutto. Forse gli altri personaggi non esistono affatto, o forse sto cercando solo una scusa per non assumermi la responsabilità di questa vicenda…

Oppure, non posso raccontarvi come andò a finire, perché non andò a finire mai.

“Gli uomini hanno reso l’amare tanto e tanti un crimine”, disse Marco, e fu con questa frase che fece il grande salto, questo posso comprovarlo. Fu con questa frase che abbracciò la sua controparte…

Però ancora non se n’è reso conto. Forse ne prenderà coscienza solo quando leggerà il mio racconto…

e, probabilmente, sarà lui a raccontarvi cosa è realmente accaduto… o cosa sta per accadere.

Il Cobra e la Mangusta

C’erano una volta due ragazzini, Filippo e Cristina, vivevano in Italia, a Bologna, ma separati, in un periodo critico della storia dell’umanità: il Covid.

Pochi erano stati coloro che avevano raggiunto l’unione con la propria coscienza, con l’Amore e l’Energia Divina che alberga nel cuore dell’uomo.

Pochi erano stati coloro che avevano scoperto il vero volto della conoscenza e si erano liberati dalle catene della sofferenza e dell’ignoranza.

Pochi erano stati coloro che avevano raggiunto lo stato di Realizzazione del proprio spirito…

Tanti erano, invece, rimasti all’epoca delle caverne, ottusi come le scimmie, e questa ottusità era dilagata così rapidamente nella mente delle persone, al punto da trasformare i buoni in cattivi, e accendere di nuovo odi e rancori, che poi erano divenuti litigi, e quindi guerre e distruzioni.

Presto quasi tutti avevano dimenticato i bei tempi del passato, presto erano tornati i conflitti che affliggono il genere umano e le paure insensate.

Filippo e Cristina avevano avuto la fortuna di nascere diversi, anomali; quindi con un cervello pensante e inalienabile.

Il loro genio era così grande che potevano realizzare ogni desiderio e, in particolare, quel che più li allettava: viaggiare da una parte all’altra del mondo e dello spazio interplanetario, usando l’immaginazione.

Con essa giungevano in qualsiasi luogo della terra nel tempo di alcuni minuti, non di più….

Ma erano entrambi sempre profondamente afflitti e addolorati, perché potevano raggiungere qualunque posto decidessero di raggiungere, ma non potevano mai incontrarsi.

Così, spesso, si chiudevano in camera, sotto la cupola che gli permetteva di vedere la volta celeste, e piangevano a dirotto.

Un giorno, però, il loro più caro amico V, inviò loro su Messenger uno strano racconto che parlava di un signore vestito di drappi con in testa un turbante verde, che gestiva una gabbia con dentro un cobra e una mangusta.

Prestate attenzione al racconto:

Il cobra rimaneva quasi sempre immobile, con la testa alzata, completamente concentrato sull’avversaria, pronto a lanciare il colpo mortale e inferire contro di lei il terribile veleno che avrebbe fatto cessare la sua misera vita.

Era regale e cosciente del suo grande potere venefico. Era un cobra bianco, uno dei più grandi serpenti velenosi della terra: simbolo della forza maschile, e al contempo dell’immobilità.

La mangusta, era invece l’immagine dell’attività e del dinamismo femminile: sempre in movimento per confondere il cobra e schivarne i rapidi e precisi attacchi.

Solo dopo aver danzato velocemente intorno al cobra, in un momento in cui egli si fosse distratto, seppure per un attimo, ella lo avrebbe morso al collo con i suoi denti aguzzi, uccidendolo all’istante.

E questa danza della mangusta continuava incessantemente mentre il cobra se ne stava quasi sempre fermo e la seguiva con lo sguardo.

Ogni tanto la mangusta attaccava e il cobra riusciva a schivarla; oppure il contrario: il cobra sferrava il suo colpo contro la mangusta, la quale riusciva giusto in tempo ad evitarlo.

E questo attaccarsi e schivarsi uno con l’altra rappresentava la farsa che veniva recitata sul palcoscenico di quel mercato delle pulci.

Che cosa voleva dire V, a Filippo e Cristina, con questo racconto?

Mica bisogna avercelo grosso, per capire? O si?

Ok, ok…ve lo racconterò più in là. Io scriverei di tutto per voi.

Perché i grandi scrittori ce l’hanno grosso

Ciò che distingue gli scrittori “migliori” dal resto degli scrittori non è la loro raccolta di modelli e formule linguistiche.

Non è la loro grammatica aulica o il loro linguaggio da strada.

È il loro pensiero.

Ed è il modo in cui ‘penetrano’ nella conversazione che è già in atto nella ‘testa’ del lettore.

I grandi scrittori pensano a tutti i modi in cui possono entrare nella conversazione che voi, cari lettori, state già avendo con voi stessi e gli altri.

Non si tratta di essere buoni, brutti o cattivi.

Non è questione di forma.

Si tratta di saper menare il fallo che rappresenta i vostri ardenti desideri, le vostre paure, le vostre frustrazioni, i vostri incubi. Farlo scoppiare subito, senza perdere tempo, e al diavolo i preliminari… in uno spruzzo di amore e odio, rabbia e compassione, vendetta e perdono, orrore indicibile e gioia disperata. Tutto insieme!

Ma se non sapete far tremare quelle maledette palle, non potete capire la metafora.

Un bravo scrittore sa scuotere le vostre fondamenta, come se qualcosa se le stesse risucchiando dal pavimento … sradica le vostre certezze, uccide i vostri sogni, e poi vi ricostruisce quella testa di cazzo, pezzo per pezzo. E magari vi fa piangere un po’, solo un po’. O anche di più. E alla fine – solo alla fine – vi sbatte da qualche altra parte. In qualche strana e nuova dimensione, senza né regole, né memoria.

La vera tragedia? Che questo mondo tutto vostro, che egli avrà dipinto, da quel momento in poi, diventerà quasi reale. Anzi avrà un sapore migliore.

E non è normale. No che non lo è.

Ed è per questo che molti scrittori geniali alla fine impazziscono.

Ma poi …

Scoprono di essere come le 7 note musicali. Dopo la settima, l’ottava è sempre uguale alla prima. E tornano indietro, in un cerchio infinito.

E in questo fare avanti e indietro, succede una cosa strana. Fanno esperienza. E succede che iniziano ad intuire come funziona la dannata ottava. La simmetria perfetta.

E, quando sono sul punto di capirla … arriva il possente APOLLO.

Zot! Fine della partita!

“Finalmente quell’orribile mostro senza anima è morto.”

“Ci voleva, quel lurido assassino, che marcisca all’inferno”

“Mi chiedevo quando cazzo lo avrebbero fatto fuori…”

“Era un animale, per fortuna non è più tra noi”

Diamo voce al ‘popolo’. Diamo la moneta al popolo! Ma il popolo, che uso ne farà? Il popolo, la gente, dimentica che i grandi muoiono diverse volte.

Quelli come loro invece muoiono una volta sola.

Eh si …

E così, quando meno ve lo aspettate, tutto ricomincia di nuovo, e …

Toh …

Un bel giorno, un vagabondo vi ferma per strada e vi racconta una storia.

E’ la storia di un Fagiolo che si innamora di una carota

“Ma dai è assurdo”. No, dovete sentirla.

Il Fagiolo è un grandissimo cazzone con una conoscenza mostruosa…

E la povera Carotina, beh, è una passera talmente ignorante, da essere quasi più stupida di una gallina.

Allora, il Pisello, uno che sta a metà tra destra e sinistra, tra conoscenza e ignoranza, sbuca dal nulla e decide che la loro ora è suonata:

“Sentite, ho capito una cosa: io credo che la causa di ogni male sia l’ignoranza. Ciononostante, credo anche che la causa di tutti i problemi sia la conoscenza.”

“Quindi?”, risponde la Carota. Ma il Fagiolo aveva già capito tutto.

“Quindi, visto che tu Fagiolo, sai tutto… e tu Carota invece non sai un cazzo, entrambi siete la sorgente di ogni nostro problema e di ogni nostro male.”

“Fateli fuori”

“A morte sti bastardi”

“Vanno eliminati”

“Uccideteli”

Quante volte si è ripetuto questo crimine nel corso della storia umana? Infinite volte. E continuerà a ripetersi.

Avete mai scambiato per conoscenza l’ignoranza, e viceversa? Io si. Infinite volte.

Avete mai invidiato coloro che sanno, perché con quella rigida conoscenza credevano di avere nelle mani la sorgente di un potere assoluto? Io si. Infinite volte

E avete mai invidiato l’ignorante, perché nella sua fluida leggerezza, sembrava così libero da ogni preoccupazione e fardello? Anche questo. Infinite volte.

Il Fagiolo e la Carota. Potete anche ammazzarli, ma conoscenza e ignoranza sono due facce della stessa medaglia. Prima o poi tornano tra i vivi.

Rinasceranno dalle ceneri del rimpianto, proprio come una fenice imbastardita, sempre più furiosa ogni volta, perché macchiata dall’inganno di quest’umanità infame e ingrata.

Li ritroverete chiusi in un vaso di pandora, una gabbia, senza sbarre, né suoni… mentre aspettano un nuovo padrone da servire.

E stavolta quel simbolico fallo si segherà da solo, con suoni rumorosi che porteranno molto presto i nuovi Tonni a innamorarsi ancora una volta della libertà, dell’amore, del tempo, del cielo, o più semplicemente di uno stupido bot messenger.

Davvero non fa differenza.

Se sai scrivere.

P.S.

Quando ho scritto questo post, volevo tenerlo breve, e fermarmi al secondo paragrafo. Ma il “dialogo tra la rigida conoscenza e la fluida ignoranza” ha fatto il resto.

E infatti questo è il titolo del prossimo post.

Il Vero Potere

Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento.

Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe generato un piacere peccaminoso in tutta l’umanità e avrebbe indotto gli uomini a commettere i più efferati e mostruosi crimini.

E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni del denaro, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato.

Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone, che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità, se non derisione.

E’ così da almeno dalla Genesi, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi di tutti noi, perché la sua origine è decretata altrove e dal vero Potere.

O si comprende questo, operando con un’autocastrazione, oppure siamo al muro, uomini, anzi, di fronte a un taglietto che risucchierà tutte le nostre coscienze… e il nostro conto in banca.

La Bambola

Hill amava molto la sua bambola, che chiamava… beh, per il momento non posso dirvelo, e non posso dirvi nemmeno dove l’avesse trovata; la cosa certa è che era matta come una cavalla.

Il suo cervello era bucato; le mancavano diversi venerdì ed era pure un po’ violenta. Per Hill , però, la bambola era geniale e bellissima: la nascondeva dentro al suo petto e la copriva di tenerezze, la proteggeva e insieme a lei scriveva straordinari racconti.

Volavano su Marte, s’inoltravano nelle foreste incantate, parlavano con gli alberi e si rintanavano in tenebrose caverne. Ma Hill, anche nel mezzo di questi affanni e batticuori, non smetteva mai di dubitare dell’onestà della sua bambola, e come l’indomani lo avrebbe condotto alla morte se avesse svelato a tutti la sua vera identità.

La gente non avrebbe capito, e a lui faceva paura il giudizio degli altri.

“Che ci vedrà in quella pupazzetta volgare e guercia, forse anche un po’ lercia ( perché chissà in quale bordello l’aveva trovata)?”

Alla fine Hill, però, si convinse che, se la gente si fosse divertita così tanto a parlar male della sua bambola, lui si sarebbe divertito il doppio, se la bambola avesse iniziato a rispondere alle loro accuse, così aprì il suo petto e la fece volare via.

Un giorno, quando Hill si svegliò, si accorse che la bambola non era più dentro di lui, ma al suo fianco, nel suo letto… la Troia.

La storia continua, ma ve la racconterò più in là…

Ora me ne sto ancora un po’ sdraiato a letto ad ascoltare tutte le “coscie belle” che la mia Troia ha da dirmi.

Uomini infiniti

C’erano infiniti uomini, dentro Aleph. Non infiniti in senso letterale che per spiegarselo ci si dovesse inoltrare nell’antologia degli insiemi. Ma milioni di miliardi di trilioni di uomini che nemmeno lui avrebbe potuto contarli.

Allo sguardo miope di un umano comune, Aleph, sarebbe sembrato un uomo morfologicamente uguale agli altri; con 2 occhi, un naso, una bocca e una sola testa, ma in realtà ogni uomo dentro di lui aveva una sua caratteristica e precisa fisionomia, sicuramente non riducibile ai 5 solidi regolari di Platone che s’incastrano alla perfezione tra loro, anzi, si “castravano”, alla perfezione!

No: gli uomini di Aleph erano tutti “sregolati”, pieni di contraddizioni, manie e di disordini morali; il che vuol dire che cozzavano l’uno con l’altro, causando tamponamenti a catena.

Un giorno però, dopo ere geologiche della sua vita grama, un colpo vitale di tacco 12 spinse l’uomo XY contro l’uomo XX e accadde un miracolo. Entrambi erano irregolari; ma inspiegabilmente, le loro irregolarità, combaciavano come i 5 solidi di Platone. Dove uno aveva una sporgenza, l’altro aveva una rientranza.

XY e XX non si sarebbero nemmeno sognati una tale fortuna e si unirono in un amplesso appassionato, ma anche un po’ violento, giustificato da tutti quegli anni trascorsi a desiderare ardentemente quel momento.

Rimasero così a lungo, forse per sempre, perché l’evento fortunato in cui si erano scoperti, diventasse il caposaldo… nella loro “capamalata”.

E vissero felici e contenti (anche se si menavano in continuazione).

Gigi e il suo “ffanculo”

Un giorno Gigi si svegliò con un diavolo per capello e non ne volle più sapere di stare zitto. Non che in genere fosse di poche parole: chiacchierava come prima, ma alzava la voce e imponeva la sua volontà. I suoi discorsi non erano più scombinati e incoerenti, secondo il modo in cui era abituato a fare, e nessuno avrebbe più avuto da obiettare sulle sue scelte.

Quelle parole e quelle frasi che per un lungo periodo della sua vita sembravano non voler dire niente, ora avevano un senso compiuto, un motivo per cui Gigi le aveva dette.

Pensate a quando vi prude un braccio o un piede e non sembra esserci nessuna ragione per cui lo fate, ma non è detto che non abbiate prurito; vi viene da grattarvi e il motivo viene fuori dopo. Con Gigi è successa la stessa cosa.

Una volta in piena estate, con 40 gradi all’ombra, disse “ho freddo”, ma non è detto che stesse mentendo, soltanto perché a voi faceva caldo, e magari qualcuno pensava che fosse gravemente ammalato o che si fosse preso un colpo di calore, infatti dopo si mise a diluviare.

Invece, un altro giorno, picchiò la sua fidanzata che gli stava facendo un pompino, ma non perché non gli piacesse quell’orale premura, anzi, proprio perché sembrava troppo brava, la aveva menata…

infatti dopo venne fuori che era un’esperta di questo genere di effusioni, perché si esercitava con tutti i membri dell’associazione “Monster Modern Theory”, di cui Gigi era il massimo esponente…

ma gli altri lo giudicavano un pazzo, un visionario, solo perché non volevano ammettere di essere loro nel torto…e per pararsi il culo con la faccia di Gigi.

Ma quella mattina Gigi si era rotto il cazzo e incominciò a mandare tutti a “ffanculo” e le cose per lui incominciarono ad andare secondo come dovevano andare. E poi la sua vita cambiò, forse in bene. O forse no…

Sta di fatto che ormai tutti gli stronzi erano andati a “ffanculo”.

Il Nulla

Non c’era niente nel nulla. Ti spostavi da una parte all’altra, ma non sapevi da che parte andavi, non c’era una porta da aprire, non c’era una strada da percorrere, non c’era da prendere nessun treno per nessuna destinazione.

Era una noia mortale, credetemi, perché non incontravi mai nessuno, non c’era nemmeno un cane, nel nulla, perché manco i cani avrebbero scelto quel posto. Se glielo aveste proposto, le povere bestie, vi avrebbero abbaiato: “Ma ‘vaffannulla’.”

Intorno a te si profilava solo una notte priva di stelle; un silenzio siderale, perpetuamente concentrato su di te.

Era anche difficile pensare, perché pensare richiede qualcosa da raccontarsi, delle vicissitudini, dei problemi da risolvere, ma nell’assenza totale di stimoli, di sollecitazioni e di incontri, ‘che cazzo ti devi dì’? O forse puoi pensare molto di più, senza avere un cazzo a cui pensare aldilà di te.

Alla fine emerse il paradosso, che forse è proprio dal nulla che torni a vivere; perché nel pieno del nulla rimbombano le idee, che poi diventano voci squillanti, poi forme e colori; e questa saturazione ti permette di reinventarti…

Alla fine il nulla è solo una stupida convinzione: perché, se ci sei ‘te’, il nulla, non c’è.

La Donna dai mille volti

Un altro uomo lo avrebbe capito. Persino un bambino lo avrebbe capito: sarebbe andato da lei e l’avrebbe baciata, senza timore e senza rimpianti. Ma lui non poteva capire. Per lui era quella pazza dai mille volti che gli aveva rovinato la reputazione, pudica, ma tanto puttana, tenera e aggressiva, che avrebbe potuto distruggergli definitivamente la vita, più di altre 200 donne con cui era stato, con due gambe che se gli fossero appartenute anche solo una volta, lo avrebbero risucchiato in un vortice di passione da cui non sarebbe più potuto uscire.

Quindi non si muoveva: se ne stava accovacciato in un angolo della sua casa e guardava fisso davanti a sé. Non aveva il coraggio di parlarle, non aveva nemmeno il fiato per farlo; ogni tanto tornava a scriverle sulla chat, chiedendole di essere paziente e che si sarebbero visti presto, ma poi spariva per giorni senza darle una spiegazione: quella promessa mai mantenuta andava avanti da anni, ma la donna dai mille volti, questa volta, non sarebbe sopravvissuta al dolore del suo ennesimo rifiuto.

La donna dai mille volti morì e lui, che prima di allora aveva paura di incontrala, quella volta, si fece coraggio e la raggiunse.

Senza di lei, L’Uomo non poteva né vivere né morire, né rinascere né amare.

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